Durante le lunghe serate di questi mesi invernali
mi sono occupato della ricostruzione, o meglio del rifacimento di un apparato
radio che ebbi la possibilità di costruire nell'ormai lontano 1967 quando
avevo, (ahimè) la bella età di 18 anni.
Si tratta del ricevitore costruito dalla Geloso per le gamme radioamatoriali
che risale al 1962, conosciuto come G4/214.
A quei tempi la "nota casa", come era chiamata dagli addetti ai
lavori, rendeva disponibili al pubblico tutti i componenti, così che molti
potevano autocostrure i propri apparati con una spesa inferiore al prezzo di
acquisto dell'apparato già pronto.
Così pian piano cominciai ad acquistare i pezzi più importanti, altri mi furono
donati da Dario, un mio carissimo amico radioamatore da sempre e dopo breve
tempo divenne il mio ricevitore per molti anni.
I tempi cambiano, l'esperienza fatta rimane e si affina, la tecnologia
progredisce ed il ricevitore finì in un armadio da dove ogni tanto lo facevo
uscire per fargli prendere un po' d' aria ed un po' di energia elettrica.
L'ultima volta fu nel mese di novembre (2014) quando mi accorsi che la patina
del tempo aveva fatto il suo corso e non funzionava più come una volta, del
resto pure noi non ne siamo immuni, e siccome era da molto tempo nei miei
pensieri il voler fare qualcosa con i "vecchi" tubi termoionici
decisi, seduta stante, di demolirlo e ricostruirlo su un nuovo telaio.
Ricostruzione clone Geloso G4/214 di IV3GFN -
Giuseppe (Pino) Steffè
Non volendo stravolgere in nessun modo la filosofia del tempo, decisi di
attenermi al progetto originale, in paricolare modo quello dell'alimentatore
delle tensioni anodiche e dei filamenti dei tubi termoionici o valvole.
Una particolarità di questo apparato è che i filamenti delle valvole
interessate all'amplificazione dei segnali in bassa frequenza sono alimentati
in corrente continua, questo per eliminare l'eventuale "hum" o ronzio
della 50 hertz di rete dovuta ad accoppiamenti interni ai tubi stessi.
Lo stesso vale per le valvole che funzionano come oscillatori, dove la
stabilità della frequenza generata è fondamentale e per questo si utilizza una
tensione anodica stabilizzata, così come per i filamenti interessati che
vengono alimentati in corrente continua pure stabilizzata.
Questo viene fatto per evitare che variazioni della tensione sulla rete
elettrica, si ripercuotano sulla tensione dei filamenti facendo variare
l'intensità dell' emissione e quindi la stabilità della frequenza generata.
Schema alimentatore.
Come si può osservare, i filamenti delle valvole interessate ad essere "stabilizzate" in questo caso sono due, la tensione è stabilizzata, o per meglio dire "regolata", dall' impiego di uno zener da 6,2 volt che si trova in parallelo agli stessi.
Queste valvole usano una tensione nominale di 6,3 volt, quelle denominate ECCxx hanno due filamenti che possono essere alimentati in serie (12,6 volt) o parallelo (6,3 volt) con in comune il pin 9 che in questo caso si trova connesso a massa.
A prima vista il circuito sembra un po' strano, sarà il fatto che non ci siamo abituati, ma guardando bene ci accorgiamo che la resistenza limitatrice di corrente è costituita dai filamenti di altre due valvole, quelle deputate a lavorare in bassa frequenza audio e con segnali deboli.
Controllando le correnti che abbisognano per il corretto funzionamento ci accorgiamo che il totale di quelle del ramo non stabilizzato assomma a 450 mA, mentre quelle del ramo stabilizzato assorbono 300 mA, quindi, per un corretto bilanciamento del tutto, nello zener deve scorrere una corrente di 150 mA.
La resistenza da 2,2 Ω va regolata per ottenere una caduta di tensione affinché ai capi dei filamenti delle valvole non stabilizzate si venga a trovare una tensione prossima a quella nominale di 6,3V, nel mio caso ho dovuto montare una da 2,7 Ω.
Ricordo che una tensione superiore a quella nominale può provocare un prematuro esaurimento della capacità di emissione del catodo, ed una troppo inferiore un funzionamento non prevedibile.
Questa lunghissima premessa per presentare il problema, quello del diodo zener.
Quello di 50 anni fa non si trova nemmeno nominato in rete, figuriamoci in negozio.
Quelli tipo "bullone" da 10 watt, comodi per dissipare il calore generato, sono introvabili, anche se possono sembrare sprecati in questo caso.
Quelli PLASTICI assiali da 5 watt, invece, ne trovi a vagonate, ne ho acquistati una decina, e fra i tanti ho selezionato quello che mi dava, a parità di corrente di 150 mA, la tensione più vicina ai 6,3 volt. Nel mio caso 6,25, ma la differenza fra quelli di una stessa partita è piccolissima...
Il problema è dissipare il calore generato, ho provato in vari modi, come quello di saldare delle striscie di rame sui terminali vicino al corpo plastico, ma veniva una cosa inguardabile e molto ingombrante.
Cercando nei vari cassettini dei componenti, mi sono capitati fra le mani dei vecchi zener tipo bullone, è stato un attimo, un colpo col punteruolo e martello sul sottile strato vetroso ed uno svuotamento del contenuto, sperando non ci fosse il berillio, ed ecco il mio bel contenitore.
Le foto parlano chiaro.
Queste valvole usano una tensione nominale di 6,3 volt, quelle denominate ECCxx hanno due filamenti che possono essere alimentati in serie (12,6 volt) o parallelo (6,3 volt) con in comune il pin 9 che in questo caso si trova connesso a massa.
A prima vista il circuito sembra un po' strano, sarà il fatto che non ci siamo abituati, ma guardando bene ci accorgiamo che la resistenza limitatrice di corrente è costituita dai filamenti di altre due valvole, quelle deputate a lavorare in bassa frequenza audio e con segnali deboli.
Controllando le correnti che abbisognano per il corretto funzionamento ci accorgiamo che il totale di quelle del ramo non stabilizzato assomma a 450 mA, mentre quelle del ramo stabilizzato assorbono 300 mA, quindi, per un corretto bilanciamento del tutto, nello zener deve scorrere una corrente di 150 mA.
La resistenza da 2,2 Ω va regolata per ottenere una caduta di tensione affinché ai capi dei filamenti delle valvole non stabilizzate si venga a trovare una tensione prossima a quella nominale di 6,3V, nel mio caso ho dovuto montare una da 2,7 Ω.
Ricordo che una tensione superiore a quella nominale può provocare un prematuro esaurimento della capacità di emissione del catodo, ed una troppo inferiore un funzionamento non prevedibile.
Questa lunghissima premessa per presentare il problema, quello del diodo zener.
Quello di 50 anni fa non si trova nemmeno nominato in rete, figuriamoci in negozio.
Quelli tipo "bullone" da 10 watt, comodi per dissipare il calore generato, sono introvabili, anche se possono sembrare sprecati in questo caso.
Quelli PLASTICI assiali da 5 watt, invece, ne trovi a vagonate, ne ho acquistati una decina, e fra i tanti ho selezionato quello che mi dava, a parità di corrente di 150 mA, la tensione più vicina ai 6,3 volt. Nel mio caso 6,25, ma la differenza fra quelli di una stessa partita è piccolissima...
Il problema è dissipare il calore generato, ho provato in vari modi, come quello di saldare delle striscie di rame sui terminali vicino al corpo plastico, ma veniva una cosa inguardabile e molto ingombrante.
Cercando nei vari cassettini dei componenti, mi sono capitati fra le mani dei vecchi zener tipo bullone, è stato un attimo, un colpo col punteruolo e martello sul sottile strato vetroso ed uno svuotamento del contenuto, sperando non ci fosse il berillio, ed ecco il mio bel contenitore.
Le foto parlano chiaro.
Il terminale, che poi risulta essere collegato alla massa comune e che in questo caso corrisponde al catodo, va infilato nel foro praticato nel corpo del bullone e saldato con cura facendo scorrere un po' di stagno, se possibile, all'interno
Attorno al corpo del diodo ho avvolto un sottilissimo foglio di canterina di rame, in modo da riempire lo spazio e ho utilizzato un po' di pasta conduttrice di calore per migliorare il tutto.
Una goccia di resina bicomponente per chiudere il tutto, anche l'occhio vuole la sua parte.
Il diodo così ottenuto viene avvitato al telaio che rimane freddo
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